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La penale per il recesso anticipato da un contratto di telefonia fissa o mobile è, per tutti gli utenti, alle prese con una cessazione o cambio operatore, un vero e proprio incubo…
La domanda ricorrente è: “va pagata?”
Vuoi sapere come fare per non pagare la penale per recesso anticipato?
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Diciamoci la verità, chi non ha mai avuto la necessità, per un motivo o per un altro, di disdire, prima della naturale scadenza, un contratto con il proprio gestore telefonico?
E chi, alla fatidica domanda se ci fossero costi o penali da pagare per la cessazione anticipata del contratto posta all’operatore di turno – Tim, Vodafone, Tre, Wind, Infostrada, Fastweb o qualsiasi altro gestore è indifferente -, non si è sentito rispondere che “ovviamente” ci sarebbe stata addebitata una cospicua penale nell’ultima fattura? Naturalmente tutti!
Il decreto Bersani, convertito successivamente in legge (“legge Bersani” 40/2007), per garantire una maggiore concorrenza tra gli operatori di telecomunicazione e tutelare il consumatore ha stabilito che ha stabilito che il recesso o il trasferimento ad altro gestore debbano avvenire senza vincoli temporali e senza addebito di costi ingiustificati.
Ne consegue, che qualsiasi clausola presente tra le condizioni contrattuali che vada in contrasto con le disposizioni del Decreto Bersani sia da ritenersi nulla, a maggior ragione per le così dette “penali per recesso anticipato” che sono pertanto da considerarsi a tutti gli effetti illegittime.
Quindi, si potrebbe affermare che disdire un contratto telefonico prima della sua scadenza sia semplice e senza conseguenze.
Perché le compagnie telefoniche dalla Tim alla Vodafone, dalla Tre alla Fastweb per citare le più famose, hanno trovato un “simpatico” escamotage per addebitare comunque, al cliente, i costi per il recesso anticipato.
Ma come hanno fatto ad aggirare le norme contenute nel Decreto Bersani?
Semplice: in primo luogo le compagnie telefoniche riescono a mascherare le penali facendole diventare costi “di disattivazione“, “annullamento sconto” o “altri costi“.
Vodafone, ad esempio mimetizza i costi di penale per recesso sotto la voce
“conguaglio servizi digitali“ e, recentemente, come “conguaglio babylon mobile” e
“Corrispettivo per Recesso/Disattivazioni: Servizio Ready “, Tim, invece, utilizza l’espressione “Corrispettivo recesso servizio opzionale”.
In questo modo, le penali, pur mantenendo la loro ratio e non mutando nella sostanza, vengono presentate in modo ambiguo all’utente con la conseguenza del creare confusione e non consentirne la chiara individuazione.
Altro trucchetto utilizzato dai gestori telefonici per aggirare le normative è quello di giustificare gli elevati importi addebitati in fase di recesso come restituzione degli sconti e delle promozioni che erano stati applicati all’utente sui canoni, a condizione che venisse rispettata un certo vincolo temporale (mai inferiore ai 24 mesi).
In realtà, come stabilito dall’Agcom nell’Allegato B alla Delibera n. 204/18/CONS, l’eventuale previsione di una durata minima contrattuale sarà vincolante solo per l’operatore.
L’utente è quindi libero di recedere in qualsiasi momento e non deve versare alcuna “penale”, comunque denominata, poiché gli unici importi ammessi sono quelli “giustificati” da “costi”effettivamente sostenuti dagli operatori per la dismissione del servizio.
Questo orientamento è confermato anche dalla legge n. 124 del 2017 (c.d. Legge Concorrenza) che stabilisce che eventuali costi per il recesso anticipato devono essere “commisurati al valore del contratto” ed “equi e proporzionati alla durata residua della promozione offerta”.
La risposta è no.
In primo luogo, occorre prestare attenzione alla tipologia di addebito; spesso leggiamo di voci decisamente ambigue che hanno il solo scopo di confondere l’utente.
A tal proposito l’Agcom ha fornito chiare indicazioni con la pubblicazione delle “Linee guida sulle modalità di dismissione e trasferimento dell’utenza nei contratti per adesione“ specificando che gli unici costi dovuti in fase di recesso sono:
– i costi realmente sostenuti dall’operatore per disattivare o trasferire l’utenza;
– il pagamento delle rate residue per servizi e prodotti abbinati all’offerta.
Cambiare nome alle penali, qualificandole come costi per l’attivazione o altro non cambia la natura delle stesse e, in questi casi, occorrerà valutare l’entità dell’importo addebitato.
La risposta è sì.
Come ad esempio, nel caso in cui il recesso sia avvenuto a causa di numerosi e comprovati episodi di malfunzionamento del servizio oppure nel caso in cui il gestore modifichi unilateralmente le condizioni contrattuali, solitamente quando a mutare siano le condizioni economiche dell’offerta.
Nonostante la chiara normativa vigente circa le modalità di disdetta dal contratto telefonico e la crescente tutela per il consumatore, tutti i gestori (Vodafone, Telecom, Wind, Infostrada, Tiscali, Fastweb, H3G, Poste Mobile, British Telecom) continuano a fatturare questi costi o a prospettarli all’utente qualora volesse recedere dal contratto, allo scopo di vincolarli e limitarne la libertà di scelta.
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